scheda tecnica

Un documentario di Raffaele Manco e Irene Sicurella

Regia Fotografia Montaggio Raffaele Manco

Ricerche Irene Sicurella

Anno di produzione 2022

Durata 69 minuti

Portati via dalle loro famiglie, violentati, uccisi. È la sorte toccata a migliaia di bambini indigeni nelle Scuole Residenziali gestite dalla Chiesa Cattolica, in Canada. Un viaggio attraverso Manitoba, Alberta e British Columbia con i sopravvissuti che all’epoca dei fatti erano bambini e che ritornano nei luoghi dove avvennero realmente le violenze subite, al fine di attuare un processo di elaborazione del dolore che essi stessi chiamano “decolonizzazione”. Le storie di un genocidio silenzioso che continua ancora oggi per un popolo con un passato indicibile e un futuro incerto.

Il cielo è blu sulle Rocky Mountains, che svettano nitide. Una parete di ghiaccio sta per tornare cascata e ci ricorda dell’inverno appena passato, come il fiume che si è già liberato dalla neve. Il sole filtra attraverso gli alberi della foresta, timido come il passo dei cerbiatti che, improvvisamente, puntano il loro sguardo verso la macchina da presa. Sembrano bambini spaventati. Fantasmi richiamati dalla voce in sottofondo del Grande Capo “Orso che cammina gentile”, alias Fred Kelly, anziano della comunità Anishinaabe, membro dell’Assemblea delle First Nations, che racconta quando furono “portati nelle riserve, che erano in realtà campi per prigionieri di guerra da dove si usciva solo con un permesso del governo”. Fred aveva cinque anni quando fu rinchiuso in una scuola residenziale cattolica, dove gli tagliarono le trecce e tolti i vestiti tradizionali. E fu stuprato. Uccidere l’indiano nel bambino: la soluzione che il Dipartimento Affari Indiani aveva trovato per eliminare i nativi. Perché quella delle Residential School fu un’azione di governo.

Così, nel democratico Canada, nell’estate 2021 sono stati trovati centinaia di corpi di bambini indigeni che erano scomparsi da anni. 215 piccoli corpi sepolti a Kamloops e 751 nel Saskatchewan. Entrambi i suoli gestiti dalla Chiesa Cattolica, che si occupò delle Residential School per conto del governo canadese dal 1890 al 1998. Per circa 100 anni i bambini delle etnie native (amerindi, métis e inuit) vennero tolti alle famiglie per essere “rieducati” ad uso e costume della cultura dominante e del modello cattolico. Costretti a non parlare la loro lingua. Maltrattati, violentati, uccisi. L’olocausto canadese.

150 mila i bambini sottratti di cui circa 6mila bambini che non hanno più fatto ritorno a casa. Come quelli seppelliti lungo le sponde del fiume che costeggia la Kamloops Indian Residential School. Harvey McLeod l’ha frequentata quella scuola. È un uomo alto, possente, cappello a falda larga, occhiali da sole. Trova la forza per ritornare nell’edificio che l’ha visto più volte vittima di stupro per mano degli insegnanti. Mostra i bagni dove era solito rifugiarsi e ripulirsi dalle violenze. Il muro sul retro della scuola dove desiderava solo morire. La macchina da presa lo segue nei corridoi, fuori nel cortile, mentre si alternano immagini di archivio girate negli anni ’60 proprio nella stessa scuola di Kamloops.

“Ci costringevano a mangiare il nostro vomito. Se lo vomitavamo, ci costringevano a mangiarlo di nuovo”. È solo uno degli aneddoti agghiaccianti raccontati dalle cugine Linda e Lorraine Daniels, picchiate da Suor Teresa tanto da farle diventare nere e blu per i lividi. Le lacrime di Linda e il terrore di riaprire una ferita quando la sua comunità l’ha scelta per andare a Roma a incontrare il Santo Padre. È lei che ad Aprile 2022, in Vaticano, ha guardato Papa Francesco negli occhi e gli ha detto “senti il nostro dolore”.

La sala gremita di piume e abiti colorati, volti custodi di verità e dolore, un silenzio monumentale rotto solo da quelle tre parole pronunciate dal pontefice: “vi chiedo scusa”. Dopo cento anni, e una settimana lunga di incontri e cerimonie, le tre delegazioni di First Nations, Metìs e Inuit ricevono le scuse per i crimini orrendi subiti dalla chiesa cattolica. Scuse che non potranno mai rimarginare le ferite dei piccoli Harvey, Linda e Lorraine e di intere generazioni rovinate.

Incapacità di stabilire relazioni interpersonali, di essere buoni genitori, psicosi, disoccupazione, dipendenze, depressione. Tasso di suicidi tra i più alti del Nord America.

La vita nelle riserve è dura e senza prospettive di crescita. Tutto è in mano al governo. Terre ricche di risorse economiche ad uso avido ed esclusivo dell’uomo bianco.

E così, attraverso migliaia di chilometri, orsi che escono dai boschi, cavalli che galoppano tra le colline, bisonti che si sfidano, il documentario mostra la natura circostante in tutta la sua commovente bellezza. Una bellezza che tradisce la triste e rassegnata realtà di un popolo a cui è stato tolto tutto e che ancora oggi vive ai margini. Un purgatorio, una pena sospesa, dove le nuove generazioni devono fare i conti con un passato indicibile e un futuro imprevedibile.

Neanche le grandi città offrono opportunità. A Winnipeg le temperature arrivano a -40 gradi, gli indigeni che rappresentano circa il 60-80% della comunità “non hanno le risorse più basilari, dall’acqua al cibo, fino alle case”. Lo racconta Kevin Walker, del Bear Clan Patrol, un gruppo di volontari che aiuta i poveri, gli emarginati e tenta il recupero di tossicodipendenti. Kevin è di origine Metìs e sa bene che bisogna intervenire tempestivamente se si vogliono salvare vite. Nel gelo di Winnipeg è questione di vita o di morte. Lo sanno bene le centinaia di ragazze indigene che perdono la vita ogni anno. Spariscono nel nulla, inghiottite dalle acque gelide del Red River dopo essere state brutalmente violentate e uccise. Crimini che il più delle volte restano impuniti. Non solo per mano di lupi solitari, ma anche per una pratica atroce come la sterilizzazione forzata.

“Sono nata in questa storia. In questo razzismo sistemico, in questi vari gradi e forme di genocidio. Non ho avuto scelta”. Sono le parole, rotte dalla commozione, dell’attivista e scrittrice Morningstar Mercredi. Vittima, a sua insaputa, di una sterilizzazione all’età di 14 anni. Perché a molte donne in Canada è toccata, e tocca tutt’oggi, la sua stessa sorte. Solo per il fatto di essere native. Indiane. A loro è stata tolta definitivamente la possibilità di mettere al mondo bambini con il taglio delle tube. L’ultima ufficialmente documentata è del 2018. La paura indotta per evitare denunce. Uno dei tanti orribili sistemi per decimare la popolazione indigena. Da sempre. L’effetto di un razzismo e colonialismo permanente che ha tenuto in piedi per anni programmi sanitari di eugenetica: esperimenti su uomini, donne e bambini in ospedali esclusivamente indigeni. Come i nazisti con gli ebrei nella Germania degli anni ’40. Mentre qui eravamo negli anni ’70, in Canada.

E mentre Morningstar guarda l’ospedale abbandonato di Edmonton dove sua nonna ha perso 9 dei suoi 12 figli, le scendono lacrime di rabbia ma anche di orgoglio per essere ancora viva “Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. Noi siamo ancora qui”.

Purgatorio Canada è un reportage di Raffaele Manco e Irene Sicurella che è stato realizzato per la serie Il fattore umano Rai3, è andato in onda la prima volta il 25 luglio 2022 e poi seguito da repliche e streaming. Qui potete vederlo nella sua versione integrale originale.

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