scheda tecnica

Regia Fotografia Montaggio Raffaele Manco

Graphic Designer Matias Hermo

Colonna Sonora Domenico Pizzullo, Antonio Scofano

Audio Mix Giovanni Corona

Produzione Raffaele Manco, Teatro dei Venti

Anno di Produzione 2019

Durata 80 minuti

In Fitzcarraldo non sono stati i soldi a issare la nave sulla cima della montagna: è stata la fede”. 
—Werner Herzog

Nel 2015 una compagnia teatrale di Modena decide di portare in scena uno dei più grandi romanzi della storia della letteratura. Moby Dick di Herman Melville. Lo spettacolo da subito manifesta tutta la sua complessità e nei tre anni a seguire mette a repentaglio il futuro stesso della compagnia. Una macchina teatrale di otto tonnellate e tredici metri di altezza che si sposta all’interno di una piazza con cento persone tra attori e figuranti.

È la storia del Teatro dei Venti e della gestazione di un’opera mostruosa, di destini che si incrociano, di tempeste che si abbattono sulle speranze di donne e uomini. Ma è anche un po’ la storia di tutti noi, dei nostri sogni e delle nostre ossessioni. Di avere una ragione per vivere o morire.

Il documentario girato dal film-maker Raffaele Manco intitolato “Moby Dick o Il Teatro dei Venti” racconta un progetto teatrale lungo tre anni, focalizzando l’attenzione su gli ultimi sei mesi di lavorazione durante i quali la compagnia del Teatro dei Venti si trova ad affrontare una serie di ostacoli dovuti alla burocrazia, eventi atmosferici, complessità dell’impianto scenotecnico e soprattutto il continuo rischio di sforare il budget a propria disposizione. Vedrete la costruzione di un palco di otto tonnellate, largo dieci metri e alto tredici, tirato all’interno di una piazza da dieci attori e questo palco diviene un cantiere navale sul quale altri venti attori suonano botti, corrono, si arrampicano e costruiscono una nave che viene issata, capovolta e trasformata in una balena. Al centro di tutto un romanzo, il Moby Dick, con il suo capitano Achab e la caccia ossessiva alla Balena Bianca, l’uomo contro la natura, l’ignoto.

Se Achab è disposto a sacrificare tutto è così anche per il regista dello spettacolo? Anche lui metterà a repentaglio il suo “equipaggio di attori”? Dove finisce il sogno e inizia la cieca ossessione?

Ed è proprio qui che il documentario pone l’accento. Non è solo la storia di una compagnia teatrale che rischia di affondare come il Pequod (la nave del romanzo di Melville), ma è un modo per raccontare i progetti, i sogni ambiziosi, le ossessioni che sono in ognuno di noi. Chiunque potrà riconoscersi nei vari personaggi del documentario dove, non è tanto importante che questi progetti si realizzino, quanto piuttosto il coraggio e la paura nell’affrontare un’impresa tanto rischiosa, la ricerca dell’ignoto che sta lì fuori ma anche in noi stessi e che da sempre muove la storia del mondo. Le nostre storie.

Il documentario ha una struttura narrativa divisa in capitoli, i cui titoli richiamano quelli dello stesso romanzo di Melville. Ogni capitolo è introdotto da ritratti di marinai filmati al buio e illuminati da una sola lampada che oscilla sui loro volti. La luce e le ombre che si muovono suggeriscono il moto di una nave che oscilla al battere delle onde. Luce e buio rappresentano lo stato d’animo dei personaggi: paura, ignoto, speranza.

La storia e le disavventure dello spettacolo sono narrate da alcuni membri della stessa compagnia, ritratti all’interno di una sala teatrale completamente vuota, silenziosa e raccolta che fa da contrasto con le immagini e i forti rumori del loro lavoro in strada fatto di luce accecante, sudore, pioggia.

Lo stile visivo passa da toni fotografici austeri a toni vivaci. Dalla solennità all’azione. La forma segue sempre il contenuto. 

Animazioni grafiche accompagnano il racconto in alcuni punti. Le illustrazioni realizzate dall’artista Matias Hermo richiamano lo stile di quelle che una volta si trovavano nei libri antichi. Sono tutte realizzate a mano e poi digitalizzate. Contraddistinte dall’uso di un solo colore e dal movimento di pochi elementi all’interno delle varie sequenze.

Il documentario è frutto di una produzione indipendente finanziata dallo stesso regista filmmaker Raffaele Manco. Lavorando a budget ridotto il film è stato girato e montato in 12 mesi.

È stato proiettato in pubblico per la prima volta nel Novembre 2019, finalista al RIFF Roma Independent Film Festival. Ha visto alcune proiezioni in Italia e all’estero in occasione di festival teatrali, fino all’arrivo della pandemia nel marzo del 2020, dopo la quale non ha trovato più alcuna forma di distribuzione.

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